Lenta, farraginosa, immutabile: è la radiografia della burocrazia italiana. Secondo alcuni dati del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo del governo del MiSE, la Sicilia registra il peggior risultato nella realizzazione delle opere pubbliche con una media di quasi sette anni, metà dei quali sono dovuti alla lentezza della burocrazia. Argomento sempiterno, quanto mai attuale, che insieme alla pressione fiscale costa alle imprese siciliane circa 300 milioni di euro ogni anno. E nel frattempo la Regione restituisce alla Commissione Europa 117 milioni di euro non spesi dei fondi UE 2007-2013, le cui risorse ammontavano a circa 4 miliardi.
Il punto di vista di Michele Cappadona, presidente di AGCI Sicilia, costola regionale dell’Associazione Generale Cooperative Italiane.
Presidente Cappadona, la burocrazia nel nostro Paese è diventata sinonimo di paralisi e non volano di crescita e sviluppo. Perché secondo lei?
Penso che in gran parte dipenda dalle persone e dai principi che muovono le loro azioni: chi si trova a dover prendere delle decisioni deve anche avere il coraggio di portarle avanti, “l’uomo giusto al posto giusto”. In Sicilia, come nel resto d’Italia spesso, si gioca a rimbalzarsi le responsabilità sulle situazioni più urgenti e spinose. Per questo assistiamo a situazioni paradossali, in cui bisogna scendere in piazza e invocare l’indignazione pubblica non per ottenere un diritto, ché è già acquisito, ma per esigere di poterne godere. Viviamo in un Paese in cui la corsa all’equità sociale è portata avanti dalla sensibilità di artisti, musicisti, comici e attori e non dall’impegno politico, civile e morale di chi occupa posti-chiave nelle istituzioni. La vicenda dei fondi per i disabili gravissimi nella nostra regione è soltanto l’ultimo esempio, forse quello più calzante.
E cosa c’entra la burocrazia?
Se ogni ingranaggio della macchina amministrativa fa il proprio dovere, i tempi si stringono e si può pensare di semplificare le procedure, a patto di esercitare verifiche più frequenti. Come AGCI ascoltiamo ed affrontiamo ogni giorno le difficoltà cui vanno incontro le nostre Cooperative e per esperienza posso dire che la complessità e le lungaggini delle procedure, unite alla forte pressione fiscale, scoraggiano lo spirito imprenditoriale.
La vostra organizzazione, AGCI, è un’Associazione di rappresentanza. Quali servizi offre alle Cooperative che vi aderiscono?
Storicamente, questo tipo di associazioni svolge una funzione di tutela e di promozione di questa cultura imprenditoriale “collettiva”, supportando la nascita di nuove cooperative, ma anche di vigilanza sul movimento cooperativo. In particolare, la nostra Associazione raggruppa circa 1.400 cooperative siciliane impegnate nei settori più diversi e noi le aiutiamo a svolgere al meglio le loro attività offrendo servizi di consulenza in ambito fiscale e normativo, orientandole nell’offerta di credito, rappresentando le loro istanze davanti alle istituzioni. Nel perseguimento del nostro scopo sociale, abbiamo stretto importanti accordi con Confcommercio Sicilia, Confapi Industria Sicilia e con il Consorzio Fidimed, con i quali abbiamo attivato una piattaforma di servizi per le imprese e sportelli multifunzionali.
Nell’ambito pubblico negli ultimi anni si assiste, invece, ad una crisi della rappresentatività politica e al fenomeno dell’assenteismo dai luoghi di lavoro, con la conseguenza che le imprese e i cittadini si sentono sempre più disorientati. Qual è, secondo lei, una possibile soluzione?
Sono proprio la politica e le istituzioni che devono trovare il modo di andare incontro alle imprese e ai cittadini. Uno Stato non può concedersi il lusso di smarcarsi dalle esigenze del Paese, al quale deve invece fornire risposte concrete e tempestive. Piuttosto, penso non si possa più rinviare oltre una riforma in grado di snellire le procedure, ridurre i tempi e rendere omogenei i servizi in tutti i territori, ma sono anni che si fanno solo proclami. In proposito, la CGIA di Mestre qualche mese fa ha ripreso l’esito di alcuni studi condotti dall’FMI e dall’UE relativi al rapporto tra procedure burocratiche ed efficienza dei servizi ai cittadini e alle imprese. Inutile dire che la Sicilia, insieme ad altre regioni del Mezzogiorno, si ritrova tra le ultime posizioni di quelle classifiche. E ancora una volta si torna a parlare di Nord e Sud Italia, di un Paese a due velocità.
I ritardi dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni sono un riflesso dell’inefficienza di questa burocrazia?
Più che un semplice riflesso, sono un effetto combinato di diversi fattori: procedure lente e complesse, inefficienze e sprechi, evasione fiscale. Ed anche a seguito della direttiva europea che imponeva alle PA un limite massimo di 60 giorni per liquidare le somme dovute ai creditori, non mi pare sia migliorata di molto la situazione, con l’aggravante dell’aumento dei costi per gli interessi di mora. Nel frattempo le aziende chiudono, i lavoratori rimangono senza occupazione. Alla fine si è dovuto correre ai ripari coinvolgendo le banche, inventando lo strumento della certificazione del credito, creando una piattaforma che inevitabilmente ha dei costi e che costringe le imprese ad affidarsi all’ennesima procedura burocratica per ottenere, finalmente, le somme che spettano loro di diritto.
Burocrazia e imprese: è un matrimonio impossibile?
A distanza di anni si è potuto osservare che la globalizzazione conviene soltanto alle grandi multinazionali, che possono scegliere le sedi fiscali dove la tassazione è più bassa, produrre dove il costo del lavoro è minore e in molti casi godono di incentivi agli investimenti nei territori dove si fatica ad uscire dalla crisi. Nel frattempo i disservizi, i ritardi e i costi dell’inefficienza della burocrazia vengono scaricati sulle PMI, che almeno in Italia, costituiscono gran parte del tessuto economico. Quindi non voglio sembrare nostalgico, ma se si ritornasse a ricorrere alle produzioni locali, a valorizzarle e a scommettere sulla vocazione naturale dei territori, si potrebbe sbloccare il loro potenziale produttivo. E questo non potrebbe che generare nuova occupazione. Ma se la burocrazia ha un costo, tanto più alto quando questa risulta inefficiente, ed a questo spreco si somma la forte pressione fiscale, è urgente chiedersi come sia possibile per le imprese, particolarmente quelle siciliane e del Mezzogiorno, affacciarsi su mercati più ampi mantenendo un accettabile livello di competitività.