Parlamento Europeo approva FEAMPA 2021-2027: è un risultato molto importante, il Fondo UE consentirà alle imprese di pesca di resistere alle enormi difficoltà in cui il settore si sta trovando, anche a causa dei limiti sempre più stringenti imposti dai piani pluriennali di gestione.
Sensibilmente migliorata rispetto alla proposta iniziale la versione finale del regolamento, afferma con soddisfazione in una nota Alleanza Cooperative Pesca (sigla congiunta di settore tra AGCI, Confcooperative e Legacoop).
“Il recupero di alcune misure inizialmente escluse tra cui, ad esempio, il ripristino del fermo temporaneo con raddoppio del periodo di sostegno ai pescatori da 6 a 12 mesi; l’arresto definitivo in caso di particolari circostanze legate alle esigenze dei piani pluriennali nonché alcune possibilità di ammodernamento. Altre misure di rilievo sono quelle che mirano allo sviluppo del settore con occhio all’ambiente, come ad esempio la possibilità di cambio di motore se vi è riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Il plafond complessivo del Feampa ammonta a 6,108 miliardi di euro a livello Ue per l’intero settennio (circa 518 milioni di euro per l’italia, cui si aggiungera’ un eguale ammontare di risorse come cofinanziamento nazionale) e consentirà, attraverso una impostazione diversa rispetto al passato, ottenimento di risultati per il maggiore margine di discrezionalità concesso agli stati membri nell’ambito della programmazione nazionale. Rovesciando l’impostazione seguita sin qui dal Feampa, il nuovo fondo indica le operazioni o le spese non ammissibili, lasciando agli stati membri la facoltà di formulare le azioni più pertinenti ed efficaci in funzione delle caratteristiche dei singoli bacini marittimi”, conclude l’Alleanza delle cooperative della pesca.
Pesca in Italia, un settore in grave difficoltà e le prospettive di rilancio nell’ambito della Blue Economy
In una recente nota il Coordinamento nazionale pesca dell’Alleanza Cooperative lamentava che la flotta da pesca nazionale si è ulteriormente ridotta nell’ultimo decennio, passando dagli oltre 14mila natanti alle poco più di 12mila imbarcazioni di oggi, facendo registrare una contrazione complessiva pari al 16,5%.
“Negli anni ’80 le imbarcazioni da pesca erano quasi 20.000 e portavano a terra oltre 400.000 tonnellate all’anno di prodotti freschi. Oggi si sbarca meno della metà rispetto a trent'anni fa”, commenta Giovanni Basciano, vicepresidente nazionale AGCI Agrital (il settore agro-ittico-alimentare dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane) e responsabile AGCI Pesca Sicilia.
“Quanto al lavoro, oggi i pescatori imbarcati sono poco più di 25 mila (circa 30.000 dieci anni fa, il 16% in meno), mentre quelli che operano a terra oltre 100 mila, per un totale che si aggira attorno ai 125 mila lavoratori (escluso l’indotto).
Il settore registra una riduzione delle catture al ritmo del 2% annuo, un calo costante dei redditi ed un’incidenza dei costi di produzione per alcuni tipi di pesca, come quella a strascico, fino al 60%”.
Vediamo però più nel dettaglio di cosa parliamo quando pronunciamo la parola “pesca”.
La pesca italiana: battelli e occupati
Esaminiamo i principali indicatori socio-economici della flotta italiana”, continua Giovanni Basciano. “Ad oggi il sistema pesca del nostro Paese può contare su 12.149 motopescherecci pari al 17% delle 74.996 unità della flotta Ue (18% in termini di potenza motore e 11% in termini di capacità) e 25.843 occupati (di cui 19.841 FTE-Full Time Equivalent). L’età media della nostra flotta è di 31 anni. La media di imbarcati per unità da pesca è stabile nel tempo, con circa 2,12 occupati per motopeschereccio.
Analizzando l’articolazione del comparto sia come aziende (motopescherecci) sia come forza lavoro, secondo i dati ufficiali 2015 circa il 19% del totale dei battelli sono a strascico; circa il 28,9% del totale degli imbarcati sono presenti nel settore strascico.
Se infine consideriamo i segmenti più industriali (strascico, volante, circuizione) questi costituiscono la flotta principale, rappresentando circa il 60% del tonnellaggio lordo italiano attivo totale”.
Secondo il Regolamento (CE) n° 1198/2006 del Consiglio dell’Unione Europea (art. 26) la "piccola pesca costiera" viene descritta come "la pesca praticata da navi di lunghezza fuori tutto inferiore a 12 metri, che non utilizzano gli attrezzi trainati".
“La piccola pesca, con oltre 8.300 battelli rappresenta circa il 70% della flotta (totale battelli 12.149)”, continua Basciano. “È un settore fondamentale per l’economia locale, soprattutto dei piccoli borghi marinari, comprese le acque interne, quasi sempre ad alta vocazione turistica. Non solo, è anche uno dei segmenti di pesca a maggiore sostenibilità, come confermato dalle tante esperienze di buone pratiche introdotte soprattutto dalle nostre cooperative associate.
La produzione del settore pesca. Nel corso dell’ultimo decennio i guadagni provenienti dagli sbarchi sono diminuiti di oltre il 30%. Il forte ridimensionamento della struttura produttiva ha comportato un calo consistente della flotta e degli occupati.
Le opportunità della “Blue economy”
“Il settore della filiera ittica è oggi il secondo settore della Blue Economy per numerosità imprenditoriale e conta più di 33mila imprese, pari al 18,2% del totale delle imprese dell’economia del mare”, chiarisce Basciano. “Il contributo al valore aggiunto nazionale, prodotto dalle filiere riconducibili all’economia del mare, ha superato il valore di 45 miliardi di euro (in termini nominali) con un’incidenza sul totale del 3%: quasi il doppio di quanto prodotto dal comparto del tessile, abbigliamento e pelli o più del doppio delle telecomunicazioni e il triplo di quello del legno, carta ed editoria.
Dal punto di vista occupazionale, i quasi 900 mila lavoratori impiegati nel settore della Blue Economy rappresentano il 3,85% dell’occupazione complessiva del Paese.
Nel settore operano imprese in cui trovano spazio anche i giovani e le donne, visto che una su 10 è guidata da under 35 e ben due su 10 da imprenditrici”.
Tra le caratteristiche fondamentali dell’economia del mare c’è anche quella di essere in grado di attivare indirettamente ulteriori effetti sul sistema economico: per ogni euro prodotto da questo settore se ne attivano infatti altri 1,9 nel resto dell’economia.
Settore Pesca: i nodi da sciogliere per gestire il rilancio
“Tra i problemi principali oggi sul tavolo del settore c’è quello della politica di riduzione dello sforzo di pesca (in termini di attività = giorni in mare/anno) per il comparto dello strascico, a causa del perdurante stato di sovrasfruttamento della maggior parte degli stock demersali risultante dalla valutazione delle risorse operata ogni anno dal Comitato Scientifico Tecnico ed Economico della Pesca (CSTEP) della CE sulla base dei dati forniti dagli Stati membri”, spiega Basciano. “Questa riduzione, prevista per il Mediterraneo Occidentale è stata già operata per il 20%, e rischia di essere raddoppiata per il restante 20% nei prossimi 3 anni”.
La stessa politica di riduzione viene imposta dalla Commissione europea anche in Adriatico e Ionio, pur in assenza di uno specifico regolamento Ue, bensì sulla base della valutazione delle risorse e delle raccomandazioni della Commissione Generale della pesca del Mediterraneo (CGPM) della FAO.
La riduzione di giorni di pesca annui oltre un certo limite (diverso per ciascuna classe di naviglio) impedirà il già ridotto margine di redditività del comparto che produce la maggior parte del pescato italiano - che continua a vedere ridotti gli sbocchi commerciali per effetto della pandemia - con la prospettiva concreta di spingere molte imprese alla chiusura.
“Occorre definire al più presto una exit strategy che”, sostiene Basciano, “attraverso l’adozione di nuovi modelli di gestione, crei le condizioni affinché si possa fermare la logica della decrescita, interrompendo così la funesta progressione dei fermi aggiuntivi mediante l’introduzione di misure di gestione alternative capaci di assicurare ugualmente la ricostituzione gli stock che ne hanno bisogno (o anche la loro semplice tutela) garantendo una sostenibilità più equilibrata dove tutte le componenti (biologica, economica e sociale) siano finalmente bilanciate”.
Tutte le misure di gestione della pesca vengono decise dal Consiglio dei Ministri Pesca Ue su proposta della Commissione, in esito ad un lavoro istruttorio portato avanti dalla Direzione generale competente (DGMARE).
“Per questo risulta essenziale rafforzare il ruolo dell’Italia all’interno della DGMARE (ad oggi nessuna posizione apicale è ricoperta da dirigenti italiani), il quadro delle alleanze con altri Stati membri e la nostra Rappresentanza Permanente a Bruxelles”, spiega il vicepresidente AGCI Agrital. “Ma occorre anche potenziare il ruolo e i compiti del sistema associativo al fine di contribuire a costruire soluzioni alternative di gestione condivise con gli operatori, implementando le funzioni di tessuto connettivo tra decisori politici e livelli produttivi di base”.
Per rilanciare il settore della pesca occorrono politiche concrete che intervengano a breve ponendosi alcuni obiettivi minimi specifici.
“Una serie di linee di azione e di interventi sulle tante criticità sono già da tempo individuate e facilmente rappresentabili. Su queste stiamo concentrando i nostri sforzi, sollecitando l’attenzione degli organismi decisori. Elenco in sintesi gli aspetti principali”, spiega nel merito Giovanni Basciano.
“Favorire il ricambio del naviglio che ha un’età media di oltre 31 anni. Non esiste alcun sostegno finanziario per rinnovare la flotta, né per i segmenti più industriali (sottoposti a maggiore stress lavorativo: strascico, volanti, circuizioni) né per la cd. “piccola pesca artigianale”. Riteniamo improcrastinabile dedicare ogni sforzo in questa direzione, anche per assicurare una transizione verso metodi di produzione in grado di contemperare le esigenze della sicurezza sul lavoro con quelle della tutela eco-sistemica.
Rendere attrattivo il settore e favorire il ricambio generazionale, incentivando l’apprendistato, la formazione continua e dando luce ad una riforma dei titoli professionali da anni invocata, anche per consentire un’iniezione di nuova forza lavoro, particolarmente necessaria al settore.
Rivedere la Politica Comune della Pesca che continua a ritenere presuntivamente nociva la pesca al punto di far prevalere in ogni approccio gestionale i principi di precauzione per poter giustificare riduzioni senza fine dello sforzo di pesca, senza preoccuparsi di fronteggiare gli effetti recessivi sia sul piano economico che sociale.
Garantire il massimo coordinamento possibile nell’ambito delle politiche di pianificazione degli spazi marittimi, per evitare che la pesca rimanga schiacciata dai più forti interessi presenti nel cluster della Blue Economy e dalla spinta alla conservazione dell’ambiente dall’altro. La manifesta volontà europea di vedere almeno il 30% delle acque territoriali soggette a tutela ambientale (attualmente siamo già oltre il 20%), unita alle servitù militari, agli spazi comunque interdetti alla pesca per attività estrattive, ai corridoi di traffico marittimo, ecc., comportano già forti limitazioni alla pesca nelle acque territoriali; per non parlare poi delle limitazioni crescenti presenti in alto mare (fishery restricted area, zone interdette per dichiarazioni unilaterali di Stati frontisti, ecc.). A questo si aggiungono ora estese concessioni demaniali per attività di acquacoltura offshore e, ancora più importanti, per impianti di energia eolica. È quindi ormai urgente affrontare concretamente la pianificazione degli spazi marittimi allargando la consultazione agli stakeholder del settore.
Ideare strumenti strutturali e sostenibili di sostegno al reddito per i pescatori che, salvo interventi estemporanei operati ogni anno con la legge di bilancio (o con i provvedimenti di legge adottati per contenere gli effetti della pandemia), oggi risultano privi di qualunque ammortizzatore sociale. Ci riferiamo in particolare al tema della cd. CISOA Pesca.
Investire seriamente sulla sicurezza individuale a bordo e sulla formazione del personale imbarcato attraverso un rinnovato rapporto con l’Autorità marittima che rappresenta il primo vero pronto soccorso per i pescatori così come per tutti coloro che vanno per mare.
Creare strumenti finanziari capaci di dare un aiuto concreto alle imprese ed alle famiglie colpite dalle disgrazie di affondamenti o sinistri in mare dovuti a causa di forza maggiore: quando una barca affonda oggi non c’è alcuna forma di sostegno per recuperare lo scafo, provare a rimetterlo in armamento o, nei casi più gravi, farlo nuovo: la barca è come l’azienda, il negozio, l’ufficio, una vita di lavoro e di fatica spesa in mare che in poco tempo si può perdere, a volte con la vita stessa.
Creare più valore per le nostre produzioni rilanciandone al contempo anche il consumo attraverso accordi di filiera e piani di comunicazione e promozione adeguati che raggiungano il consumatore con ogni mezzo.
Aprire un tavolo di lavoro che identifichi alcune filiere (ad es. grandi pelagici, pesce azzurro, molluschi, crostacei e gamberi di profondità)sulle quali favorire la costruzione di progetti imprenditoriali in grado di valorizzare queste produzioni anche attraverso la trasformazione e la promozione di dinamiche nuove di distribuzione e commercializzazione ed il rafforzamento e la modernizzazione del sistema dei mercati ittici all’ingrosso.
Rilanciare il ruolo delle Organizzazioni di Produttori come soggetti imprenditoriali in grado di svolgere positive azioni di valorizzazione del prodotto, oltre che di regolarizzazione dei mercati.
Promuovere un forte Coordinamento delle Politiche del Mare in capo al Mipaaf capace di integrare tutte le competenze che ruotano attorno al mare, in grado di dare più dignità, maggiore peso politico e capacità diplomatica all’Economia Blu anche attraverso il necessario rafforzamento dell’azione amministrativa. A tale scopo è necessario inoltre potenziare il ruolo e l’organico della Direzione generale della pesca marittima e dell’acquacoltura per consolidare l’identità politica, economica e sociale del settore e semplificare obiettivi e competenze.
Rafforzare la ricerca rendendola più forte ed autorevole sul piano internazionale, favorendo le aspettative di crescita sostenibile degli interessi produttivi affidati alla tutela del Mipaaf.
Realizzare una seria politica di messa in sicurezza dei porti italiani, troppo spesso scarsamente agibili e difficilmente navigabili, con rischi enormi per la sicurezza degli equipaggi e perdite rilevanti di giorni di pesca e di reddito.
Infine - conclude Basciano - rafforzare strategicamente il dialogo mediterraneo nelle sedi multilaterali, sostenere e rilanciare i processi di internazionalizzazione delle imprese, sia per l’identificazione di nuovi mercati di sbocco per le esportazioni sia per il decollo di partnership con altri Stati membri e con i Paesi terzi del Mediterraneo, nella prospettiva di una gestione condivisa delle risorse, in modo che l’onere di preservare le risorse biologiche non ricada solo sulle spalle dei pescatori europei".