Enrica Mammucari Uila Pesca

Presentati ieri a Palermo i risultati della ricerca “Effetti socioeconomici dell’emergenza caro-gasolio sul settore della pesca” da Enrica Mammucari, segretaria generale nazionale Uila-Uil Pesca, sindacato di settore della Unione italiana lavoratori agroalimentari-Uil.



“Lo studio che presentiamo conferma il grido di allarme lanciato da un settore la cui sopravvivenza è a rischio e l’urgenza di intervenire per tutelare la pesca italiana. I dati previsionali ci dicono che nel 2022, come effetto dell’aumento del costo del gasolio, i ricavi medi delle aziende di pesca non riusciranno a coprire i costi fissi, con conseguenze drammatiche dal punto di vista occupazionale. In media si stima che, negli ultimi due anni, la perdita media di profitto per ogni peschereccio sia stata del 83%, mentre il reddito dei lavoratori si è ridotto di oltre il 33%”.


Lo ha dichiarato Enrica Mammucari, segretaria generale Uila Pesca, concludendo questa mattina, a Palermo, un incontro svoltosi presso il Centro di documentazione e studi “Gaetano Pensabene”, per presentare la ricerca “Effetti socioeconomici dell’emergenza caro-gasolio sul settore della pesca” realizzata da Uila Pesca e Nisea, con il contributo della direzione generale Pesca, nell’ambito del programma nazionale triennale della pesca e dell’acquacoltura 2022-2024.


“Le cause di questo declino - ha ricordato Mammuccari - sono molteplici, vanno oltre l’emergenza “caro gasolio” e molte di esse sono cronicizzate nel tempo, come: la riduzione delle giornate di pesca imposta dai regolamenti comunitari, la mancata estensione della Cisoa (Cassa Integrazione Salariale Operai Agricoli) al settore della pesca, quale strumento di sostegno al reddito dei lavoratori nei casi in cui sia impossibile uscire in mare, la scarsa capacità dei pescatori di incidere sulla catena del valore delle produzioni.”



Alla presentazione, i cui lavori sono stati presieduti da Nino Pensabene, segretario regionale Uila Pesca, sono intervenuti Andrea Mineo, assessore all’ambiente del comune di Palermo, Luisella Lionti, segretario generale Uil Sicilia, Giovanni Basciano, vicepresidente nazionale Agci-Agrital e responsabile Pesca Agci Sicilia, Annamaria Ribaudo, responsabile regionale LegaCoop del settore agroalimentare, Benito Lo Nigro, presidente Federpesca Palermo, Nino Marino, segretario generale Uila Sicilia, Antonio Lo Coco, direttore azienda Blu Ocean e Tonino Russo, segretario generale Flai Cigl Sicilia.



“I pescatori devono essere messi in condizione di poter cogliere nuove opportunità di sviluppo nell’innovazione tecnologica e nell’attuazione di strategie commerciali efficaci, investendo sui progetti di filiera e sulle attività connesse alla pesca , attraendo nuova occupazione , anche recuperando competenze tradizionali straordinarie di un antico mestiere” ha proseguito la segretaria generale.

“Al Governo e al ministro Lollobrigida in particolare chiediamo di confrontarsi con le parti sociali del settore e di dare ascolto alle nostre istanze. Siamo, infatti convinti che l’Italia possa giocare un ruolo importante in Europa per invertire la rotta di politiche comunitarie che sembrano considerare la pesca come la sola causa dell’ impoverimento delle risorse e che sono unicamente orientate verso la riduzione dello sforzo di pesca e troppo spesso disattente alla dimensione sociale ed economica del settore.

Giovanni BascianoLo studio dal titolo «Effetti socioeconomici dell'emergenza "caro gasolio" sul settore del pesca», ha evidenziato cali pesantissimi sui fatturati delle imprese di tutti i segmenti della flotta.
Giovanni Basciano, vicepresidente nazionale Associazione Generale delle Cooperative Italiane settore Agci-Agrital e responsabile Pesca Agci Sicilia, nel suo intervento ha affermato: “Abbiamo sentito da fonte scientifica e non di parte, quanto sia difficile la situazione della pesca italiana, quanto grave sia la contrazione dei volumi d’affari delle imprese, quanto diminuisca il numero delle giornate lavorative per effetto delle normative europee che limitano l’operatività già in tutto il Mediterraneo occidentale (per noi significa tutto il Tirreno, dalla Liguria al versante nord della Sicilia) e di quanto, aggiungo io, le imprese stanno ulteriormente contraendo l’operatività in termini di giornate di lavoro per contenere gli effetti dell’aumento del costo del gasolio. 
Il nostro mediterraneo pescosissimo aveva permesso lo sviluppo di una flotta numerosa, distribuita lungo tutti i tre litorali della nostra regione, diversificando mestieri e dimensioni delle imbarcazioni. Abbiamo avuto con Mazara del Vallo certamente la flotta di alto mare più importante del mediterraneo. Ma le misure imposte nel Mediterraneo occidentale stanno per essere replicate in tutte le altre GSA, sia lo Stretto di Sicilia che lo Ionio, che il bacino di levante. La pesca siciliana, che era cresciuta anche sfruttando la debolezza dei paesi a sud ed a est, aveva lavorato ovunque costruendo la ricchezza di moltissime nostre comunità costiere, oggi si trova senza più mare, stretta dalle limitazioni spazio-temporali della Commissione europea, stretta dalla costante richiesta di tutti i paesi di applicare le Zone esclusive, quindi di dividere a metà il mare che tra i due paesi dirimpettai, la idiota risposta del nostro parlamento di fare altrettanto anziché decidere di temporeggiare, quindi sempre meno mare per i nostri comandanti e i nostri armatori.

A questo soffocamento si aggiunge adesso anche una forsennata corsa alla realizzazione di mega impianti eolici offshore, mega per le dimensioni delle torri (mediamente alte 250 m), per l’estensione delle superfici richieste (milioni di metri quadri per ognuno). Dal mare al largo di Marettimo a Pozzallo sono numerose le richieste già avanzate e che da parte nostra stiamo cercando di contrastare per salvaguardare l’operatività dei nostri pescatori. Se non ci riusciamo per loro non ci sarà più spazio per pescare, sulle nostre tavole non ci sarà più la gamma di diversità di specie che caratterizzano la dieta delle nostre comunità locali, tutti saremo portati a consumare ancora più pesce importato da mari lontani e comunque non dal Mediterraneo; è bene ricordare che già oggi del pesce che consumiamo oltre il 60% è di importazione. Che fine farà il turismo della nostra regione che è basato sul mare e sulla gastronomia? Che fine faranno le economie delle comunità costiere dove la pesca è motore di economia (meccanici, cantieri navali, catena  del freddo, logistica, confezionamento, conservazione e trasformazione ittica, e cosi via; di che vivranno le migliaia di famiglie che direttamente e soprattutto indirettamente vivono di pesca o a partire dalla pesca? Questo è il problema che la nuova amministrazione regionale dovrà affrontare e dobbiamo tutti quanti immediatamente porre il problema nella sua gravità."