Delusione per gli operatori di settore di una delle più importanti filiere ittiche, l'Italia perde il ricorso per l’aumento dell’8% del proprio contingente massimo di cattura rispetto al regolamento sulla pesca del pescespada della Commissione Europea del 2017, che ha fissato a 3.736 tonnellate la quota complessiva di pesca nazionale della specie.
Lo scorso 30 aprile giudici di di Lussemburgo hanno giudicato le misure adottate dal Consiglio Ue come adeguate, basate su solide motivazioni e coerenti con l'interesse dell'Unione di garantire la gestione sostenibile delle risorse biologiche marine.
“La filiera ittica del pesce spada è uno dei fiori all’occhiello delle produzioni ittiche made in Italy, messo a rischio dalle scelte europee che impongono drastiche riduzioni all’attività di pesca con un sistema di quote che non rispetta lo spessore della produzione nazionale”, avevano dichiarato Agci, Confcooperative e Legacoop, approvando l’opposizione del Mipaaf al provvedimento. “Il ricorso italiano alla Corte di Giustizia Europea contro il regolamento UE sulla pesca del pescespada è una battaglia per ridare dignità alla pesca italiana”.
Il tetto massimo di cattura fissata per il nostro Paese, possibile soltanto dall'inizio di aprile alla fine di dicembre, da qui a ai prossimi tre anni è destinato a calare ulteriormente. Partendo dalle raccomandazioni dell'Iccat - la Commissione internazionale per la conservazione di tonni e specie affini, che ha previsto un limite di 10550 tonnellate per tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo - il sistema di gestione comunitario ha stabilito infatti in relazione alla quota massima di pesca relativa all'Ue, pari a 7428 tonnellate nel 2017, una riduzione del 3% ogni anno, dal 2018 al 2022, per un totale del 15% in cinque anni.
“Una riduzione progressiva”, spiega Giovanni Basciano, responsabile regionale per il settore Pesca dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane, e componente del Cda del Distretto pesca siciliano, “che non rispetta il nostro fabbisogno e lo spessore della produzione italiana, con oltre il 40% delle catture mediterranee di spada nel 2017 per più di 4000 tonnellate pescate annue, e che da due anni sta penalizzando una filiera già in difficoltà, soprattutto in Sicilia, dove si concentra circa la metà delle catture e della flotta italiana dedita a questo tipo di pesca, con una lunghissima e preziosissima tradizione di palangari, dalla marineria di Marsala a quella di Porticello, senza dimenticare Catania e le Eolie. Noi siamo sempre stati contrari al sistema delle quote, e con quel ricorso chiedevamo quantomeno di alzare il tetto massimo per l'Italia”. Ma non c'è stato nulla da fare, sottolinea Basciano, di conseguenza "in Sicilia si rischia di ripetere quanto è accaduto al livello nazionale dopo la batosta sui limiti di cattura del tonno fissati dall'Ue a fine anni ‘90, che hanno avuto ripercussioni pesantissime sul settore ittico tricolore, con una drastica riduzione delle imbarcazioni accreditate per la pesca.
Beninteso, quella misura ha centrato il suo obiettivo, tanto che oggi il Mediterraneo è strapieno di tonni, e nessun pescatore si sognerebbe mai di remare contro la materia prima da cui ricava reddito, distruggendola con la cattura intensiva, o di negare che di pesce spada, nei nostri mari, ce n'è sempre di meno. Ma va ricordato che esistono misure alternative alle quote pesca, come ad esempio la chiusura spazio-temporale delle aree marittime, capaci di raggiungere lo stesso scopo, ovvero la salvaguardia delle specie ittiche, con minori sacrifici per i lavoratori, che oggi si ritrovano schiacciati in un sistema di regole troppo rigido”. Inoltre, prescindendo dalle ripercussioni negative sulla filiera, sottolinea infine il vicepresidente dell'Agci Agrital, il sistema di riduzione progressiva delle quote di cattura comporta svantaggi anche per i consumatori, “che rischiano di vedere sempre più pesce spada straniero sulle loro tavole, a prezzi spropositati”.