L’Università di Palermo ha ospitato il convegno "Floating Offshore Wind: un’opportunità per la transizione ecologica in Sicilia?" in cui si è affrontato il tema del parco eolico offshore proposto in Sicilia, a 60 km dalle coste, tra quelle siciliane e tunisine, composto da 190 turbine galleggianti, per una capacità totale di 2,9 GW.
Il convegno che si è svolto presso la Sala Lanza dell’Orto Botanico dell’Università di Palermo, è stato promosso dall’ambasciata di Danimarca, Paese che ha realizzato importanti impianti nel Mare del Nord e si propone di costruire il primo hub al mondo di energia eolica offshore, un’isola artificiale vasta almeno 120.000 metri quadrati, circondata da centinaia di aerogeneratori e realizzata a 80 chilometri dalla costa dello Jutland.
Lo scorso maggio, i capi di governo dei paesi UE del Mare del Nord, Danimarca, Belgio, Olanda e Germania, si sono incontrati nella città danese di Esbjerg per firmare un accordo di cooperazione sullo sviluppo dell’eolico offshore e dell’idrogeno verde.
L’evento svolto a Unipa è stato organizzato in collaborazione con l’associazione OWEMES, il cui scopo principale è promuovere le energie rinnovabili marine nel Mediterraneo, dove i potenziali, sia pure più limitati rispetto a quelli dei mari Nord Europei, sono significativi ed il loro sfruttamento è strategico in un'area a forte domanda di elettricità. OWEMES mira inoltre di formare una rete di competenze tecniche tra Università e centri di ricerca connessi a livello europeo e mondiale con le altre associazioni del settore
Pur nel rispetto degli obiettivi della transizione economica, le ragioni dell’allarme e contrarietà del settore della pesca per il mega impianto da realizzare nel mare tra la Sicilia e la Tunisia sono state espresse da Giovanni Basciano, vicepresidente nazionale di Agci Agrital.
“Quando lo scorso anno Agci Agrital ha scritto a tutte le autorità competenti - ha detto nel suo intervento Giovanni Basciano, che è anche responsabile del settore pesca AGCI Sicilia - manifestando la nostra contrarietà per la realizzazione di un impianto eolico off-shore a ridosso della linea mediana italo-tunisina, esteso decine di milioni di mq, ed abbiamo su questo ottenuto analoga presa di posizione da parte di tutte le associazioni datoriali di settore, da parte dei sindacati dei lavoratori, della Commissione Consultiva della Pesca della Regione Siciliana, dell’Area Marina Protetta delle Egadi (la più grande AMP del mediterraneo) e dalla Riserva Orientata delle Saline di Trapani e Paceco, l’abbiamo fatto al solo fine di difendere il settore che rappresentiamo e di cui dobbiamo cercare di salvaguardare l’esistenza.
Abbiamo sempre precisato che la transizione ecologica è un tema che non ci lascia indifferenti ma ci vede invece direttamente coinvolti in quanto il cambiamento climatico ed il riscaldamento del mare influenzano gli equilibri biologici da cui dipende la pesca.
Ci siamo guardati bene comunque - continua Basciano - dall’entrare nel merito dell’opportunità di una tale gigantesca realizzazione, su eventuali altri impatti o altri conflitti di interesse, abbiamo scritto che la nostra contrarietà risiede nella sottrazione di una importante area di pesca, importante sia in termini dimensionali che di pescosità, a danno di una altrettanto importante parte della flotta siciliana.
La pesca è un settore debole, perché fatto da poche imprese, con pochi addetti e che contribuisce poco alla composizione del Prodotto Interno Lordo, ma a cui – invita a riflettere Basciano - è legata una buona parte del nostro mercato turistico, specie nelle località costiere. Immaginate di essere un turista che sceglie di andare in vacanza in qualunque posto nelle nostre coste e che si trovi a mangiare al ristorante soltanto salmone o merluzzo norvegese allevati, anziché gambero rosso, pesce spada, ricciole. L’economia del settore, seppur contenuta, è però strettamente legata a quella molto più importante del turismo, che in questi ultimi anni è divenuto il settore trainante nella nostra regione”.
“La flotta siciliana rappresenta poco meno del 25% della pesca nazionale”, spiega Basciano, “in gran parte si tratta di imbarcazioni appartenenti alla cosiddetta piccola pesca, fatta cioè da piccole imbarcazioni abilitate a pescare entro poche miglia dalla costa ed in acque nazionali, ma in Sicilia e nei Compartimenti della costa sud della Sicilia in particolare, sono presenti un gran numero di pescherecci abilitati alla pesca ravvicinata (entro le 40 miglia) e alla pesca d’altura (oltre le 40 miglia). Ci riferiamo alle flotte di Sciacca, Pozzallo, Portopalo di Capopassero e soprattutto di Mazara del vallo.
Quest’ultime essendo storicamente composte da navi di grandi dimensioni (30-40 m di lunghezza) hanno sempre operato in tutto il mediterraneo con bordate di molti giorni o di mesi, essendo in grado di processare a bordo il pescato, il cui target è il gambero rosso e il gambero viola, da tutti oggi conosciuto e divenuto un brand con apprezzamenti molto importanti sui mercati nazionali ed internazionali.
Nonostante la prevalenza numerica dei battelli della pesca artigianale la pesca nella GSA16 (area del Mediterraneo in cui ricade lo Stretto di Sicilia e la costa meridionale dell’Isola) si distingue nel contesto nazionale per la forte presenza di battelli strascicanti.
L’area a sud della Sicilia insieme al litorale nord della Puglia rappresentano, infatti, le zone dove la flotta a strascico incide maggiormente, in termini numerici, sull’intera flotta (oltre il 35% sul totale rispetto ad un’incidenza dello strascico, a livello nazionale, del 19%). In particolare, la pesca a strascico in Sicilia riveste un’importanza fondamentale sia per quel che riguarda il segmento alturiero operante nello Stretto di Sicilia ed in altre aree del Mediterraneo meridionale ed orientale, sia per la più tradizionale pesca a strascico attiva nelle zone di pesca meno distanti dalla costa che operano nella GSA 16.
Capisco che agli occhi dei non esperti la vista di una carta nautica del Mediterraneo dia l’impressione di una disponibilità enorme di mare, per cui potrebbe sorgervi spontanea la convinzione che se i nostri pescatori non potessero più pescare là dove si vuole realizzare il parco offshore, potranno andare da un’altra parte di quel mare apparentemente enorme. È invece purtroppo non è cosi – spiega Basciano -. Va considerato innanzitutto che la pesca a strascico, stante le vigenti norme, può essere esercitata a profondità maggiori di 50 m (ed in certi casi e/o periodi di 100) ed entro i 1000 metri di profondità, quindi sarà operativamente utilizzabile soltanto l’area i cui fondali rimangono tra i 50 m e i 1000 m. Inoltre attualmente le misure tecniche di gestione adottate in tutto il territorio nazionale, inclusa la Sicilia, facenti riferimento al Reg. (CE) 1967/2006 prevedono che l’utilizzo dello strascico sia vietato a meno di 3 miglia dalla costa o all’interno delle isobate anzi citate.
Va considerato inoltre che all’interno dello Stretto di Sicilia esistono, oltre a quelle già citate, ulteriori limitazioni alla pesca a strascico da parte di varie Autorità: AMP (aree marine protette), per volontà della Commissione Europea 3 FRA (Fishing Restricted Areas), inoltre Zone di protezione della pesca (Tunisia, Libia e Malta), gasdotti, oleodotti, cavidotti, ecc), per cui un mare che poteva sembrarvi ancora grande, in realtà si va sempre più restringendo.
Infine, ciascuno dei 22 paesi he si affacciano nel Mediterraneo ha 12 miglia di pertinenza nazionale, le cosiddette acque nazionali in cui possono pescare solo i pescherecci battenti quella bandiera.
A tutte queste già importanti restrizioni vanno aggiunte le crescenti rivendicazioni di Zone Economiche Esclusive, cioè quelle aree estese sino a 250 miglia dalla costa nazionale, in cui le attività legate al mare sono di esclusiva pertinenza del paese; ovvio che queste normative nascono per tutelare ben altri interessi che non la pesca, per esempio l’estrazione di gas o petrolio, e laddove le 250 miglia non fossero disponibili le rispettive Zee si fermeranno alla linea mediana.
Questo è già vero per la Francia, la Spagna, l’Algeria (che pretende di arrivare a 12 miglia dalla Sardegna) e si può immaginare a breve quali saranno le rivendicazioni della Turchia, il cui ruolo geopolitico è in questi giorni notevolmente mutato.
Il parlamento italiano sta lavorando su una proposta di Zee italiana, quindi delle acque in cui dovrà operare la flotta nazionale, al netto di tutte le altre restrizioni già ampiamente citate legate alla profondità, distanza della costa aree marine protette, cavidotti, oleodotti, zone militari ecc.
È evidente, alla luce di queste considerazioni, che il mare dedicato alla pesca è molto ma molto meno grande di quanto si può pensare in sicura buonafede”, commenta Basciano, “pertanto la sottrazione di un’area cosi vasta, come quella oggetto della richiesta di Concessione, ridurrebbe grandemente lo spazio effettivamente a disposizione ed utilizzabile per lo svolgimento della pesca a strascico alla flotta dei Compartimenti della GSA 16.
Ma cerchiamo di capire i numeri: secondo il CNR di Mazara del Vallo, dai dati contenuti nella relazione finale del Piano di gestione per la pesca demersale nello Stretto di Sicilia. Si legge che nella GSA 16 operano 144 strascichi da 12 a 18 m lft (lunghezza fuori tutto), 134 da 18 a 24 m lft e 113 da 24 a 40 m lft.
La struttura produttiva, sia in termini di numerosità sia di tonnellaggio complessivo, risulta fortemente concentrata nel compartimento di Mazara del Vallo, dove è operativo il maggior numero di battelli e circa il 75% della capacità della flotta.
Infine vorrei ricordare che a Marsala (TP) ha sede una importante flotta di palangari derivanti (LLD) dediti alla pesca dei grandi pelagici (tonno e pesce spada) e che la gran parte della quota italiana relativa a questo attrezzo è in possesso di tale marineria; faccio presente che essendo questi attrezzi lunghi sino a 50 km ed essendo, come dice il nome, derivanti cioè abbandonati a corrente, risulta evidente come un parco di centinaia di torri risulterebbe una trappola mortale per questi attrezzi, impedendo agli operatori di operare in gran parte delle acque dello stretto di Sicilia. Questi sono i motivi del nostro allarme e della nostra contrarietà, che riteniamo meritevoli di attenzione nel valutare i rischi e le tutele verso il settore della pesca nell'Isola".